Nel mondo della fotografia, soprattutto social, si fa un gran parlare (e promuovere) i filtri fotografici. Accessori impegnativi perché di costo molto alto, in alcuni casi astronomico. Da quel che si legge e si vede sembrano essere diventati uno strumento indispensabile per la fotografia moderna, soprattutto di paesaggio.
Ma è davvero così? O si tratta solo di un fenomeno commerciale spinto ad arte sui social? O forse c’è verità in entrambe le ipotesi?
Vediamo quindi in questo tutorial cosa sono i filtri fotografici, a cosa servono e quali sono davvero utili.
Cosa sono i filtri fotografici
Con questo nome si identifica una vasta categoria di aggiuntivi ottici che si applicano davanti alla lente frontale dell’obiettivo per introdurre una modifica alla luce reale prima che essa raggiunga la pellicola o il sensore. Esistono infatti da lungo tempo, essendo nati appunto con la pellicola.
Se riflettiamo, si tratta di una pre-produzione di tipo ottico, del tutto simile alla post-produzione digitale.
Problematiche di base dei filtri fotografici
I problemi di cui soffrono i filtri fotografici sono essenzialmente due:
- · qualità ottica
- · dominanza
La qualità ottica dipende dalla finezza di lavorazione del vetro e da anomalie nella stesura dello strato. La dominanza è una variazione non voluta del colore che viene introdotta da una scarsa qualità del vetro e della lavorazione “filtrante”.
Ovvio che maggiore è la qualità del prodotto minori sono questi difetti. Minori ma quasi mai del tutto assenti: quando abbiamo filtri definiti “privi di difetti” in realtà si tratta di prodotti i cui difetti sono sotto la soglia del rilevabile.
Fragilità dei filtri fotografici
Esiste un terzo problema legato ai filtri fotografici ed è la loro fragilità, dato che quelli di buona e ottima qualità sono realizzati in vetro ottico. Basta un urto, oppure la classica caduta, per romperli. Ma anche una semplice eccessiva pressione sul contenitore può fratturarli.
Alcuni tipi di filtri sono molto più soggetti a rotture e sono quelli detti “a lastra”; mentre quelli “a vite” sono ben più resistenti.
Ci sono anche filtri in plastica (resine policarbonato), alcuni certamente di buona qualità, ma comunque non riescono mai ad arrivare agli standard qualitativi di quelli in vetro.
E quelli di alta qualità costano come quelli in vetro. Inoltre sono molto facilmente soggetti a graffi e abrasioni, a differenza di quelli in vetro che sono meno esposti a queste aggressioni meccaniche.
Tipi di filtri fotografici
In origine i filtri più diffusi erano quelli colorati per il bianco e nero. Può sembrare surreale usare filtri colorati per foto senza colore, ma così non è.
I filtri colorati, infatti, introducono variazioni nel modo in cui la pellicola bianco/nero legge i colori della scena.
Ad esempio, un filtro di un certo colore rende il cielo (che è blu) del tutto nero, mentre un altro filtro lo rende del tutto bianco. E così via. I più comuni sono quelli rossi, gialli e verdi, ciascuno utile per gestire i colori (complementari e opposti).
Erano molto usati nell’era della pellicola, ma sono praticamente scomparsi con l’avvento del digitale, dato che tali conversioni vengono effettuate comodamente in PP.
A parte questi specialistici per il bianco/nero, i filtri più usati e comuni sono:
- polarizzatore
- neutral density (ND)
- graduated neutral density (GND)
- variable neutral density (VND)
- conversione temperatura di colore
- infrarosso (IR)
Vediamoli ora singolarmente per capire a cosa servono e quali sono davvero utili.
Filtro polarizzatore
Serve a bloccare la luce a seconda della sua “polarizzazione”. Lo diciamo e prendiamo per buono senza addentrarci nel mondo complesso della fisica ottica.
Vediamo invece i suoi aspetti pratici, primo fra tutti quello sui riflessi. La riflessione, in particolare su acqua e superfici bagnate, induce nella luce una parziale polarizzazione; parte di questa luce riflessa viene bloccata dal filtro, permettendo ad esempio di vedere sotto la superficie dell’acqua.
Il filtro polarizzatore, infatti, blocca la luce riflessa dall’acqua (o altre superfici), impedendo che arrivi al sensore e sia quindi visibile nella foto.
Questo permette di avere trasparenza totale dell’acqua di un torrente o un lago illuminati dal sole; senza filtro polarizzatore essa apparirebbe bianca, o comunque molto chiara, per via della luce solare riflessa.
Nello stesso modo il polarizzatore lavora sul cielo, che viene reso terso e saturo bloccando la luce riflessa del vapore acqueo presente nell’aria. L’effetto massimo di riduzione si ha con il sole laterale rispetto alla scena.
Il filtro polarizzatore è montato su un supporto rotante (che viene avvitato sull’obiettivo) perché è necessario orientarlo in maniera da portare il suo “piano di polarizzazione” nella posizione giusta per la situazione di luce che stiamo fotografando.
I filtri polarizzati per la fotografia sono suddivisi in:
- polarizzazione lineare PL
- polarizzazione circolare C-PL, PL-CIR o CPL
L’effetto sulla fotografia è identico, ma cambia il modo in cui agiscono sulla luce: il circolare polarizza la luce selezionando un piano di preferenziale, ma poi la depolarizza nuovamente. Solo questo permette consente ai sensori autofocus di funzionare correttamente; il lineare non garantisce la certezza di un loro corretto lavoro.
Filtri Neutral Density ND
Vengono indicati dalla sigla ND (appunto Neutral Density) e sono in sostanza dei filtri uniformemente grigi che servono a ridurre la quantità di luce che entra nella lente frontale dell’obiettivo. Il modo in cui lo strato scuro lavora può essere a riflessione o assorbimento, ma ciò poco ci interessa in questa sede.
Si usano quando la luce ambiente è molto forte e si vuole usare un tempo di scatto molto lento. Sono infatti graduati con un numero che indica di quanti stop abbassano la luce.
Queste sono le loro sigle nei vari standard, ciascuna con il numero di stop di assorbimento (ND):
- ND 101 ND 0.3 ND2 -1 stop
- 102 ND 0.6 ND4 -2 stop
- 103 ND 0.9 ND8 -3 stop
- 104 ND 1.2 ND16 -4 stop
- 105 ND 1.5 ND32 -5 stop
- 106 ND 1.8 ND64 -6 stop
- 107 ND 2.1 ND128 -7 stop
- 108 ND 2.4 ND256 -8 stop
- 109 ND 2.7 ND512 -9 stop
- 110 ND 3.0 ND1024 -10 stop (detto anche ND1000)
- 111 ND 3.3 ND2048 -11 stop
- 112 ND 3.6 ND4096 -12 stop
- 113 ND 3.9 ND8192 -13 stop
I modelli più usati sono quelli da
- -3 stop
- -6 stop
- -9 stop
- -10 stop
Il loro problema principale è quello che, se la qualità dello strato ottico grigio non è perfettamente neutra, introducono dominanze di colore nella foto.
I filtri ND ad alto numero di stop (9 e 10) hanno anche il difetto di ridurre così tanto la luce da non permettere la visione a occhio quando sono montati. Quindi prima è necessario inquadrare e mettere a fuoco, poi montare il filtro e valutare a occhio l’esposizione.
I filtri ND possono anche essere sovrapposti, ossia montare il -3 stop sull’obiettivo, e poi su di esso montare il -6 stop. In questo modo si simula un -9 stop senza averlo comprato. Il problema è che eventuali difetti, dominanze di colore in primis, vengono amplificati.
Filtri Variable Neutral Density VND
Sono filtri con la stessa funzione degli ND, solo che possono regolare l’opacità e quindi in numero di stop che recuperano.
Filtri Graduated Neutral Density GND
Vengono indicati dalla sigla GND (appunto Graduated Neutral Density) e sono filtri ND che hanno lo strato grigio scurente distribuito in maniera graduale sulla superficie invece che uniforme. La graduazione è lineare, ossia massima da un lato e assente dal lato opposto. Servono a ridurre la quantità di luce che entra nella lente frontale dell’obiettivo in maniera graduale invece che uniforme come i filtri ND.
Vengono usati soprattutto per fotografia di paesaggio quando la situazione ambiente ha fortissime differenze di luce tra cielo e terra, o viceversa. Hanno lo stesso problema degli ND, ossia introducono dominanze di colore nella foto se la qualità dello strato ottico grigio non è perfettamente neutra.
Ma il loro vero limite è un altro: la gradazione. Essa è infatti fissa, ossia l’intervallo in cui l’oscuramento passa dal massimo a zero è fisso e non può essere ampliato o ristretto a seconda della scena che dobbiamo riprendere. Questo spesso crea fasce troppo chiare o troppo scure accanto al confine tra cielo e terra, o comunque tra zona chiare e zona scura. L’effetto di transizione risulta spesso innaturale.
Inoltre, essendo filtri a valore di oscuramento fisso, essi impongono una transizione vincolata, che passa da x stop a zero, senza possibilità di modificare il valore di oscuramento massimo.
Ne esistono ovviamente di vari modelli, sia come intervallo di lavoro (ossia il numero di stop di recupero nella fascia più scura) sia come graduazione, che può essere più o meno sfumata. Ma per avere una copertura adeguata delle varie situazioni è necessario acquistarli tutti.
Due limiti molto molto evidenti, ma che vengono del tutto ignorati da produttori e recensori di questi prodotti, per ovvi motivi commerciali.
Filtri a conversione temperatura di colore
Erano molto usati nel mondo della pellicola, ma sono del tutto scomparsi con il digitale, dato che questa conversione viene fatta con il bilanciamento del bianco, in fase di scatto o di PP.
Sostanzialmente erano filtri blu o arancio, che servivano ad adattare le pellicole daylight alle luci delle lampade alogene (i blu, più usati) o per aggiungere “calore” alla luce del tramonto (gli arancio) e alla luce diurna troppo fredda (soggetto in ombra con luce solare e cielo blu).
Esisteva anche un filtro per recuperare le dominanti delle luci al neon, ma la sua efficacia era prossima a zero.
Filtri infrarosso IR
Si tratta di filtri speciali, dall’aspetto molto scuro quasi come un ND ad alto potere assorbente. Servono a “simulare” uno scatto all’infrarosso. Dico “simulare” ma il termine non è del tutto esatto, però rende l’idea del fatto che comunque non si tratta di una vera fotografia IR.
Le fotocamere digitali, infatti, a protezione del sensore montano un filtro che blocca gran parte dello spettro IR. Per fare vera fotografia all’infrarosso andrebbe rimosso questo filtro; operazione che, per la macchina, ha la delicatezza di un intervento a cuore aperto su un umano.
Mai pensare a un fai da te
Esistono in commercio delle fotocamere specializzate per IR, come ci sono centri tecnici specialistici dove viene rimosso il filtri IR con tutte le dovute cautele.
Poi sulla macchina va comunque applicato un filtro che blocca tutte le frequenze del visibile e lascia passare solo quelle dell’infrarosso (IR). Questo permette di fare vera fotografia IR, riprendendo solo questa banda di luce.
I normali filtri IR, peraltro abbastanza costosi, permettono di bloccare le frequenza del visibile lasciando passare solo gli infrarossi ma, essendo montati su una fotocamera normale (il cui sensore ha ancora il filtro anti IR), quello che raggiungerà il sensore è solo una ristrettissima porzione di IR. Per cui la foto ottenuta non riuscirà a intercettare tutta l’ampiezza della radiazione infrarossa.
Rappresentano comunque una via economica e facile per avere uno pseudo IR.
Tipo di montatura dei filtri fotografici
Attualmente esistono due tipologie di montatura per i filtri fotografici:
- a vite
- a lastra
Filtri fotografici con montatura a vite
Quelli a vite sono il modello classico; sono formati da una montatura circolare che esternamente ha una filettatura maschio compatibile con quella (femmina) presente sugli obiettivi e da una lastra tonda di vetro fissata da una flangia circolare avvitata sulla montatura.
Si montano e smontano semplicemente avvitandoli sull’obiettivo. Hanno diametri fissi compatibili con gli standard dei vari obiettivi.
Esistono in commercio anelli adattatori (molto economici) per passare da un diametro maggiore a uno minore (ma esistono anche quelli per l’operazione inversa).
Con essi è infatti possibile usare un filtro diametro 82mm su qualsiasi obiettivo con diametro frontale minore.
Questo permette di avere un solo filtro per tutto il corredo, a patto di averlo preso con il massimo diametro necessario.
Se avete un corredo fotografico di obiettivi in cui quello con il diametro frontale è, ad esempio, 82mm, quella è la misura del filtro da prendere.
Filtri fotografici a lastra con portafiltri
Furono introdotti negli anni ’80 da Cokin e il principio era innovativo. Un anello metallico veniva avvitato sull’obiettivo e reggeva (a incastro) una speciale montatura in plastica con delle scanalature laterali. Su di essa si infilavano i filtri, costituiti da lastre quadrate di policarbonato con i vari effetti.
Facilissimo da usare, rapido nel montaggio del filtri e nel loro uso. Peccato che la qualità degli stessi non fosse eccelsa. Nel tempo si sono sviluppati altri prodotti similari.
Questa esigenza è aumentata in tempi recenti per via dell’immissione sul mercato di obiettivi con paraluce fisso, soprattutto supergrandagolari, che non permettono di montare il classico filtro a vite. Anche alcuni supergrandangolari senza paraluce fisso hanno bisogno di questo tipo di montatura perché non riescono a montare correttamente i modelli a vite.
Sono stati quindi sviluppati set di filtri composti da una grossa montatura che si istalla dietro al paraluce, fissandola al corpo dell’obiettivo, e filtri a lastra di grandi dimensioni.
Il loro principale difetto è il costo, elevatissimo, spesso astronomico.
Inoltre, come è facile intuire, lastre di vetro di grandi dimensioni sono di una fragilità estrema. Sicuramente non ideali per usi impegnativi sul campo come quelli richiesti dalla fotografia di paesaggio. Se sfuggono di mano e cadono, si disintegrano. E anche tenerli nelle custodie comporta rischi, perché basta metterci sopra qualcosa di pesante, oppure metterle in una giacca e sedercisi sopra, per fratturarli.
Esistono anche le lastre in materiale plastico, ma se da un lato sono meno fragili, dall’altro sono più esposte al rischio di graffi e abrasioni. E per avere una qualità ottima, il costo resta comunque elevato.
Inoltre la montatura stessa ha un costo davvero notevole, considerando che si tratta di un pezzo di plastica stampata a caldo con qualche vite metallica. Materiali per pochi euro di valore venduti a un centinaio di euro o più.
Personalmente uso solo filtri a vite, certamente di ottima qualità come i B+W, ma non prenderei mai filtri a lastra.
Quali filtri fotografici servono davvero
Questa è la domanda più interessante del tutorial e quella che farà più discutere. Premetto dicendo che nessun filtro è davvero indispensabile per fare buona fotografia, soprattutto oggi che la PP ha raggiunto livello altissimi, sia come strumenti software che come tecniche.
Per contro va riconosciuto che determinati effetti fotografici o certi tipi di fotografia si possono fare solo utilizzando specifici filtri. Quindi è ovvio che, se un fotografo vuole fare esattamente quel tipo di immagine, dovrà necessariamente procurarsi il filtro adeguato.
In particolare parliamo di:
- tempi lunghi di giorno: filtro ND
- infrarosso (pseudo) su fotocamera standard: filtro IR
- eliminazione di riflessi su acqua o vetro: filtro polarizzatore
Possiamo quindi dire che i filtri:
- ND
- IR
- polarizzatore
sono quelli davvero necessari, sempre se volete ottenere specifiche immagini. Ma dato che l’infrarosso è un campo considerato sperimentale o comunque di nicchia, restringiamo la rosa dei filtri davvero utili a:
- ND
- polarizzatore
E tra essi quelli davvero importanti e insostituibili sono gli ND, che sono fondamentali per poter usare tempi lunghi con situazioni di forte luce.
Il polarizzatore è utile, comodo, migliorativo di varie situazioni. La sua importanza è fondamentale solo per l’eliminazione dei riflessi da acqua, vetro e superfici lucide. Il suo intervento sulla foschia può essere tranquillamente sostituito da interventi in PP.
Filtri fotografici che non servono
I filtri di conversione colore sono ormai desueti e sostituti integralmente dalla gestione del bilanciamento del bianco.
Idem per quelli colore usati nel bianco e nero, sostituti dai processi PP di conversione al bianco/nero.
I filtri GND esistono da tempo, dall’epoca Cokin, ma sono sempre stati considerati poco più di un gioco per matrimonialisti senza fantasia. Solo di recente sono divenuti una costosa invenzione commerciale, promossa e venduta come bacchetta magica per straordinarie fotografie di paesaggio, definita strumento indispensabile per i paesaggisti.
Ma Ansel Adams ci insegna che si possono fare eccellenti foto di paesaggio anche senza…
Il filtro GND può essere infatti sostituito, in maniera altrettanto efficace e con risultati assai più flessibili e meglio gestibili, da un semplice processo di PP basato su un bracketing di 2, massimo 3 scatti.
Due scatti consecutivi e 5 minuti di PP vi fanno evitare di spendere diverse centinaia di euro, che potete destinare a cose ben più utili per la fotografia.
Inoltre – e quasi nessuno ve lo dice – i filtri GND diventano inutilizzabili (se non addirittura fotograficamente dannosi) quando si hanno situazioni in cui elementi del terreno (fascia scura) entrano nel cielo (fascia chiara).
Qui il GND crea un effetto innaturale del tutto falsante e anche assai brutto da vedere. La lavorazione di due scatti diversi in PP lo evita.
1 Comment
Effetto seta in fotografia: guida teorica e pratica completa · 2 Dicembre 2019 at 16:24
[…] corrono in nostro aiuto i filtri ND, neutral […]
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