Benvenuti in questo tutorial che spiega tutto ciò che si deve sapere per scegliere tra fotocamere e camere astronomiche per l’astrofotografia. Ci sono molte opinioni su questo tema, spesso contrastanti o peggio semplicistiche.
In rete troverete infatti molti tutorial e video, che dicono tutto ma anche il contrario; essendo spesso corredati da test, foto e dimostrazioni pratiche, tendono a risultare molto convincenti, ma non necessariamente sono poi esatti o del tutto affidabili.
Questo perchè, quasi sempre, si basano solo sull’esperienza personale che, pur se positiva, non fa media valida per tutti. In astrofotografia entrano in gioco tantissimi elementi e parametri, per cui una esperienza positiva per qualcuno non necessariamente è ripetibile se si cambia anche solo un dettaglio.
Necessario quindi capire bene la teoria alla base delle scelte, come anche conoscere nel dettaglio le caratteristiche tecniche di fotocamere e camere astronomiche. A questo serve il tutorial che state leggendo: farvi capire come scegliere, non, dirvi cosa scegliere.

Fotocamere e camere astronomiche: cosa scegliere per l’astrofotografia
La prima cosa è capire le esigenze dell’astrofotografia e i requisiti tecnici che deve avere una camera per rivelarsi adeguata a questo tipo di riprese.
Poi vedremo come sono fatte e come lavorano le due tipologie di camere fotografiche (fotocamera e astrocamera) disponibili sul mercato. Infine valuteremo pro e contro di ciascuna scelta.
Requisiti di una camera per poter fare astrofotografia
Ci sono due caratteristiche cardine per questa scelta, che derivano direttamente dalla natura dei soggetti astronomici:
- lunghezze d’onda della loro luce
- ridottissima luminosità
Per avere successo nell’astrofotografia una camera deve possedere la capacità di cattura di tutti i colori presenti nei soggetti fotografati e una adeguata sensibilità per le luci molto deboli.
Cattura di tutte le lunghezze d’onda degli oggetti astronomici
Mentre nella realtà “terrestre”, cui si rivolge la normale fotografia, sono presenti tutti i colori dello spettro visibile (l’arcobaleno per capirci), nello spazio le cose vanno diversamente. Ci sono pochi colori, ma alcuni sono speciali.
Nello spazio la luce proviene da due categorie di soggetti: stelle e nubi di materia luminescente.
Le stelle generano luce grazie al processo di fusione termonucleare; i loro colori possono essere:
- rosso
- arancio
- giallo
- bianco
- blu
Anche le grandi “nubi” di gas luminescenti, che formano anche le nebulose, emettono luce. Ma non per lo stesso processo fisico delle stelle.
Sono i gas ionizzati di cui sono formate ad emettere luce quando vengono “stimolati” dall’energia delle stelle. Si comportano quindi come il gas neon dei tubi fluorescenti per illuminazione. A seconda del tipo di gas varia il colore della luce emessa.
Tre sono i gas ionizzati più comuni abbiamo:
- Idrogeno alfa (Ha) – rosso/arancio a 656 Nm (circa)
- Ossigeno 3 (O3 oppure OIII) – rosso a 672 Nm
- Zolfo 2 (S2 oppure SII) – azzurro a 500.7 Nm (495.9 Nm)
Esistono infine, come sorgenti di luce nello spazio, le nebulose a riflessione. Esse si limitano a riflettere e diffondere la luce delle stelle vicine, e hanno colore bianco/bluastro.

NOTA – Questo significa che la camera fotografica adatta all’astrofotografia deve essere in grado di percepire perfettamente tutte queste lunghezze d’onda.
Sensibilità di ripresa delle luci deboli
Le stelle e tutti gli oggetti celesti, fatta eccezione per Sole e Luna, hanno luminosità apparente molto debole (per via della grande distanza). Soprattutto le nebulose, che sono i soggetti più belli da fotografare.
Sappiamo che per le situazioni di scarsa luminosità in fotografia dobbiamo avere:
- tutta apertura del diaframma
- tempo di scatto più lungo possibile
- alti ISO
Ma sappiamo anche che alti ISO e tempi di scatto oltre 1 secondo generano rumore digitale. Due tipi di rumore che si sommano tra loro sulla nostra foto.
Quello dovuto ad alti ISO è un rumore casuale, una sorta di grana colorata che richiama alla memoria quella delle vecchie foto bianco e nero.
Il rumore provocato dalle lunghe esposizioni è dovuto al surriscaldamento di pixel del sensore, che finiscono per inviare falsi segnali e creare luce dove non c’è. Tradotto: inventano punti luminosi colorati sulla vostra foto.
Il primo viene contrastato con una speciale tecnica di ripresa, detta stacking per media, che vedremo nel tutorial dedicato.
Il secondo, dovuto al surriscaldamento del sensore, su una normale fotocamera viene affrontato con varie procedure, tra cui lo “scatto nero”.
Specifico “su una normale fotocamera” perchè le camere astronomiche nascono con una apposita soluzione progettuale per affrontarlo, ossia un sistema di refrigerazione del sensore.
Naturalmente sappiamo come sensori di maggiori dimensioni e con un numero ridotto di pixel siano in grado di gestire meglio le situazioni di ridotta luminosità. Quindi la progettazione della camera è un fattore importante per questo tipo di problematica, indipendentemente dall’avere poi sistemi di refrigerazione sul sensore.
NOTA – Il secondo requisito è dunque la capacità di gestire e ridurre il rumore.
Andiamo a vedere le due tipologie di camere fotografiche esistenti sul mercato e che possiamo usare per astrofoto, ossia fotocamere e astrocamere.
Fotocamere e camere astronomiche: come sono fatte e come lavorano
Le fotocamere (qualsiasi corpo macchina commerciale) sono strumenti di ripresa destinati alla fotografia “classica” (quindi a colori in luce visibile). Possono essere reflex o mirrorless, ma si tratta di una differenza costruttiva che non ha grosse implicazioni in un possibile uso astronomico.
Quello che conta è che sia con obiettivi intercambiabili (altrimenti non potremo associarla a teleobiettivi o telescopi). Quindi escludiamo in partenza bridge, compatte e “lente fissa”.
Le camere astronomiche sono invece strumenti dedicati solo a questo genere di ripresa fotografica. Anch’esse hanno la possibilità di montare qualsiasi tipo di ottica.
Come sono fatte le fotocamere
Le fotocamere sono composte da un “guscio” contenente i vari elementi che le permettono di lavorare stand-alone, ossia “da sola”, senza bisogno di altri elementi esterni connessi. Il “guscio” si chiama corpo macchina e vi troviamo:
- sensore
- batteria
- processore immagini ed elettronica di supporto
- display (uno, o due nelle mirrorless)
- specchio e pentaprisma (nelle reflex)
- otturatore
- scheda di memoria
- comandi
- connettori
Quando esce dalla fabbrica, qualsiasi corpo macchina di qualsiasi produttore, monta sul sensore uno speciale filtro che serve a bloccare il passaggio di ultravioletto e infrarosso, detto filtro UV/IR cut.
Esso si rende necessario perchè da un lato il sensore vede tanto la luce visibile, quanto UV e IR; ma dall’altro il nostro occhio vede solo le lunghezze d’onda del visibile.

Se il sensore riprende la scena includendo UV e IR nello scatto, otteniamo una foto che è cromaticamente molto differente dalla nostra visione oculare. Questo non sarebbe accettabile come “fotografia”, in quando non corrispondente alla nostra visione della realtà.
Serve quindi un filtro che tagli via tanto UV quanto IR. Per questo tutte montano lo UV/IR cut.
I sensori possono avere varie dimensioni, ma le più comuni sono:
- full frame – 24*36 mm
- APS – 23,6*15,8 mm (la versione APS-C)
- micro 4/3 – 17,3*13 mm
Ci sono poi sensori più piccoli, ma in linea di massima non sono usati per le fotocamere che possono interessarci per astrofotografia.
Come lavorano le fotocamere
Le fotocamere lavorano a colori; impostare lo scatto BN è solo una scelta di elaborazione in camera. Solo alcuni rari modelli sono nativamente monocromatici.
La normale fotografia si fa infatti generalmente a colori; le foto possono poi essere elaborate in postproduzione portandole a BN. E si fanno in un solo scatto, tranne per le tecniche fotografiche avanzate (HDR, stacking, etc.) che richiedono serie di scatti da interpolare per arrivare alla foto finale.
Le fasi operative delle fotocamere sono:
- inquadratura (tramite oculare o display posteriore)
- impostazione dei parametri di scatto
- scatto della foto
- registrazione automatica sulla scheda di memoria
- contemporanea visualizzazione sul display
Tutto questo perchè le normali fotocamere devono operare in maniera del tutto autonoma, e rendere possibile la realizzazione della foto in qualsiasi contesto e situazione.
Come sono fatte le camere astronomiche
Le camere astronomiche, dette anche astrocamere, sono tecnicamente molto diverse dalle fotocamere tradizionali e anche più povere di componenti, proprio perchè non sono progettate per lavorare stand-alone ma sempre connesse a un computer.

Hanno una forma molto semplice: un cilindro, che da un lato ha il bocchettone per l’obiettivo e dall’altro i connettori elettrici. Molto spesso hanno anche una ventola interna e, lateralmente, possono avere radiatori di calore o feritoie di aereazione.
Internamente troviamo solo:
- sensore
- elettronica di supporto
- connettori elettrici
Opzionali (ossia non presenti su tutte le astrocamere)
- ventola di aereazione
- sistema di raffreddamento
I loro sensori non montano di serie alcun tipo di filtro, a differenza di quelli delle fotocamere commerciali che hanno di fabbrica lo UV/IR cut.
Le dimensioni dei loro sensori possono essere molto varie e includono i tre formati classici delle fotocamere, ossia full frame, APS e micro 4/3, ma anche altri più piccoli. La scelta della dimensione del sensore dipende all’uso che se ne fa, ossia dal genere di soggetto che si riprende e dallo strumento ottico cui sono associate (per via del fattore di crop).

Inoltre, le astrocamere esistono sia a colori che monocromatiche, e spesso uno stesso modello è disponibile in entrambe le versioni.
Come lavorano le camere astronomiche
A differenza delle comuni macchine fotografiche, le camere astronomiche vengono comandate da un computer esterno, con cui dialogano attraverso cavi. Esso si occupa di tutte le fasi dello scatto, come della visualizzazione e registrazione delle immagini prodotte.
Anche l’alimentazione proviene da fonte esterna, attraverso un apposito cavo.
Inquadratura e messa a fuoco sono seguite dallo schermo del computer, che comanda l’esecuzione degli scatti e registra i dati. Permette inoltre di regolare tutti i parametri operativi, dal tempo di scatto alla sensibilità, e gestire l’unità di raffreddamento del sensore, se presente.
Di fatto, da sola una astrocamera non è grado di lavorare.
Differenza tra le immagini prodotte
Qui dobbiamo fare chiarezza, perchè ci sono molte errate convizioni, per lo più frutto di semplicazioni eccessive.
Si dice che le macchine fotografiche scattino fotografie mentre le astrocamere generino solo dati da elaborare. Non è così. O meglio, non sempre è così.
L’elettronica della fotocamera, dopo lo scatto, riceve dal sensore un file dati relativo alla sua lettura della luce ricevuta. Questo insieme di dati può essere salvato sulla scheda così come arriva, dando origine a un file RAW, oppure convertito dal processore della fotocamera in una fotografia vera e propria, registrata poi in formato TIF (alta qualità) o JPG (bassa qualità).
L’elaborazione in camera del RAW (per salvarlo come immagine in TIF o JPG) avviene secondo i parametri impostati sul menù della fotocamera, mentre i RAW importati sul computer possono essere trasformati in immagini in modo molto più flessibile.
Ma in ogni caso, qualsiasi RAW va elaborato in postproduzione per farne una vera immagine fotografica. Infatti esso è considerato semplicisticamente una “fotografia”, ma è in realtà solamente un file dati numerici. Solo TIF e JPG sono vere fotografie.
Diversamente dalle fotocamere, le camere astronomiche producono solo file dati (dei RAW) e non hanno la possibilità di elaborarli internamente in immagini. Usano un formato file nativo più ricco di dati, chiamato FITS. Il concetto è lo stesso del RAW fotografico e quindi essi vanno post prodotti per trasformarli in vere foto.
Fotocamere o camere astronomiche: cosa scegliere
Ora che abbiamo il quadro tecnico completo dei due strumenti disponibili, ossia fotocamere e camere astronomiche, andiamo a vedere cosa ci serve per fare astrofotografia.
Le esaminiamo prima dal punto di vista della cattura dei colori, poi della gestione del rumore digitale.
Gestione e cattura dei colori
Il limite delle fotocamere tradizionali (tutti i modelli di tutte le case) nasce dal fatto che escono di fabbrica con uno speciale filtro sul sensore, che taglia fuori infrarosso e ultravioletto.
Potrebbe apparire un non-problema, ma il “passaggio” della luce visibile attraverso questo filtro non è così lineare e completo come ci si potrebbe aspettare dopo aver detto “taglia via”. Non è un coltello che taglia un pezzo di mela. Esso, infatti, penalizza il passaggio dei colori verso arancio e soprattutto rosso, attenuandoli.
Nel diagramma che segue vedete come si comporta, ad esempio su una Canon, il filtro UV/IR cut di fabbrica rispetto alle varie lunghezze d’onda della luce visibile.

Si nota come quelle del rosso siano penalizzate; in particolare quella di Ha, che invece è molto presente nell’universo, e quindi riveste enorme importanza dell’astrofotografia.
Se usiamo una normale fotocamera (ripeto, di qualsiasi marca e modello, ma così come esce di fabbrica) ci troviamo a perdere buona parte della luce emessa da Ha e anche da SII. Per cui avremo si delle astrofoto, ma povere di colore.
Va detto però che questo limite si evidenzia solo se vogliano dedicarci a fotografare oggetti che sono ricchi di nubi cosmiche Ha (e SII).
Se vogliamo superarlo dobbiamo farla modificare, sostituendo il filtro di fabbrica con uno specifico per astrofotografia. Ossia con una curva di trasmissione (passaggio) come quella rossa nel diagramma appena visto.
Quindi alla domanda se la “fotocamera” sia adatta all’astrofotografia in termini di capacità di cattura del colore, la risposta è duplice: si e no.
È certamente sbagliato dire che la fotocamera di fabbrica non sia adatta all’astrofotografia, perchè in verità è inadeguata solo per alcune tipologie di soggetti.
Quindi la risposta è si, ma solo se vogliamo fotografare soggetti nei quali non è presente, o non lo è in maniera preponderante, l’idrogeno alfa (Ha).
Nel dettaglio:
- Pianeti e Luna – va bene la fotocamera di fabbrica
- Sole e galassie (inclusa la Via Lattea) – meglio una fotocamera modificata “astro”, ma risultati discreti si ottengono anche con la versione di fabbrica
- Nebulose a emissione – serve la modifica per una resa ottimale dei colori
Pianeti e Luna infatti non emettono luce propria, ma si limitano a rifletterla. Il Sole ha emissioni Ha, ma di suo offre già una gamma luminosa premiata anche dalla fotocamera non modificata.
Le galassie possono contenere varie zone a emissione Ha, ma anche in fotocamera di fabbrica regalano comunque una visione spettacolare (pur senza evidenziarle).
Le nebulose a emissione sono spesso ricchissime di Ha, per cui senza la modifica si possono fotografare, certo, ma si ottiene una immagine povera di colore.
La Via Lattea, che è il soggetto preferito di chi inizia l’astrofotografia con gli strumenti della fotografia classica (fotocamera + grandangolare). Viene molto bene anche con modelli di fabbrica, ma diventa certamente più spettacolare se ripresa con una fotocamere modificata, perchè al suo interno ci sono numerose nebulose e zone Ha.
Gestione del rumore digitale
Qualunque sia la nostra scelta, in astrofotografia siamo sempre costretti a lavorare ad alti ISO e con tempi di scatto molto lunghi.
Il rumore dovuto agli alti livelli di ISO viene affrontato sempre attraverso la tecnica dello stacking per media, e con risultati eccellenti. Quindi in questo senso la scelta tra fotocamere e camere astronomiche poco cambia.
Per il rumore dovuto ai lunghi tempi di scatto, conseguente al surriscaldamento del sensore, la situazione è diversa.
Quando andiamo già oltre 1 secondo, i sensori delle fotocamere iniziano inevitabilmente a scaldarsi e generare “punti luminosi”, che aumentano di numero e intensità all’allungarsi del tempo di scatto. Essi si possono poi eliminare con tecniche varie, ma sono comunque una rogna e provocano perdita di tempo.
Le astrocamere, grazie alla loro cella di raffreddamento, tengono molto bassa la temperatura del sensore e riducono notevolmente la comparsa di rumore digitale.
Conclusioni
Riassumendo per concludere:
Le fotocamere “di fabbrica” possono certamente essere usate per astrofotografia, ma danno risultati diversi a seconda del tipo di soggetto. In assenza di zone Ha riescono a produrre buoni risultati, ma dove esse sono presenti la loro resa cromatica è povera.
Le fotocamere modificate “astro” superano questo limite e producono immagini con una buona resa cromatica anche nelle zona Ha.

Resta però il problema del riscaldamento dei loro sensori quando il tempo di scatto è molto lungo, e questo impone poi processi di postproduzione per limitare il danno.
Le astrocamere nascono invece per questo tipo di fotografia e non hanno problemi di resa colorimetrica su Ha, ne di surriscaldamento del sensore.
Vanno però scelte attentamente in base al tipo di astrofotografia che si vuole fare, ossia la tipologia di soggetti, ma anche in relazione all’ottica usata per sfruttarne o meno il fattore crop.
Si può certamente iniziare astrofotografia con la nostra normale fotocamera, ma se la cosa ci appassiona, il passo a una modificata diventa quasi inevitabile. Passo costoso, certo, ma si rimane nel flusso di lavoro conosciuto che usiamo per la normale fotografia.
Passare a un telescopio dal teleobiettivo è un passo interessante e non comporta grosse modifiche di questo flusso di lavoro. Ma comporta ulteriori spese.
Al contrario, passare dalla fotocamera di fabbrica all’astrocamera impone un notevole cambiamento del nostro flusso di lavoro fotografico, affatto semplice. E comporta poi l’acquisto di strumenti aggiuntivi, come il computer ad esempio, che non ci servono invece per lavorare con la fotocamera classica.