tovoli

La fotografia secondo Federico Tovoli

D. Quando e come ha scoperto la fotografia?

R. Sono figlio di un fotoamatore evoluto. Chi nasce adesso praticamente cresce tra le fotocamere, nei primi anni sessanta invece non era così, il mio defunto padre aveva questa forte passione, era sempre con la fotocamera al collo. Da quando ho cominciato a capire qualcosa, ho sempre avuto una fotocamera vicino a me.

D. Ci racconti il suo primo approccio a quest’arte:

R. Mi avvicinai per la prima volta a sette anni. Aiutavo il mio babbo in camera oscura, ascoltando Canzonissima alla radio a transistor, mentre con le pinze agitavo le copie nel bagno di sviluppo, venendo avviluppato dalla magia dell’immagine che appariva. Un paio d’anni dopo, il mio babbo mi mise davanti il libro “Storia della Fotografia” di Wladimiro Settimelli e, tra le immagini dei cowboys autentici, ebbi il mio primo impatto con Robert Capa, Stieglitz, la F.S.A e con la foto del cadavere del Che Guevara.

D. Ricorda la sua prima foto?

R. No. Di sicuro fu uno scatto con la macchina di babbo, ma veramente son passati troppi anni.

D. Qual è stato il suo percorso di crescita e apprendimento dell’arte fotografica?

R. Divorare riviste di fotografia che trovavo in casa, guardare le foto che faceva il mio babbo, poi con la mia prima macchinetta seria, una Kodak Retina, cominciare a documentare il mio mondo: gli amici, la città, la gente, i concerti. Ho sempre coltivato una inclinazione al documentarismo e alla foto geografica, anche negli anni in cui avevo lo studio fotografico, ad agosto chiudevo e andavo in vacanza facendo quel tipo di fotografia che mi piaceva, ma che non pensavo fosse remunerativa.

D. E quali le sue tappe più significative?

R. Decidere, all’età di 21 anni, di trasformare la passione in un mestiere, realizzare sei anni dopo che era possibile fare il fotoreporter, incontrare negli anni un paio di persone che mi hanno dato un notevole input professionale. Trasferirmi in Sud America facendo lo stesso mestiere.

D. Cosa rappresenta per lei la fotografia in termini emotivi?

R. E’ il mio occhio sul mondo, la mia maniera di raccontare storie attraverso le immagini. Non mi passerà mai la voglia di fare un reportage.

D. E pratici?

R. Ci convivo da 29 anni, anche se non benissimo, ma mi ci mantengo senza bisogno di avere un altro ingresso.

D. Fotografa per lavoro o per diletto?

R. E’ la domanda più difficile, però per me è lavoro. Nel senso che, anche una ricerca personale o un lavoro che è più da esposizione che non da rivista, per me è una maniera di esprimermi su un soggetto, ma lo ricollego anche ad un ritorno in immagine facendo una mostra.

Maestri e grandi fotografi per Federico Tovoli

D. C’è stato un incontro con qualcuno che si rivelato importante per la sua crescita?

R. Sì, due persone in due momenti della storia totalmente diversi.

D. Ha avuto un vero e proprio “maestro”?

R. No, però da queste due persone ho imparato tantissimo.

D. Per lo stile, ha fatto riferimento a quale grande fotografo mondiale?

R. Lo stile si elabora secondo il proprio background culturale ed anche vedendo, diciamo divorando, le foto altrui. Se devo fare dei nomi non sono certo originale: Henri Cartier Bresson, W.E. Smith, Steve McCurry, Gianni Berengo Gardin, ma anche colleghi con cui mi sento tramite mail, come Carlos Lujan e i Terraproject.

D. Chi sono i “grandi” di ogni epoca che ammira di più?

R. Henri Cartier Bresson, W.E. Smith, Bob Capa e Steve Mc Curry, in quest’ultimo mi imbattei a Perpignan 4 anni fa, camminavamo entrambi da soli sul marciapiede opposto di una strada anonima, ebbi l’emozione di un pischelletto che vede dal vivo la sua rockstar preferita, mi balenò l’idea di andare a chiedergli un autografo (cosa che ho fatto solo all’età di 9 anni e con Thor Eyerdall) poi pensai che queste cose da grandi non si fanno.

D. Il preferito in assoluto?

R. Henri Cartier Bresson. Per me, lui sta alla storia della fotografia come Robert Johnson a quella del blues.

Gli scatti di Federico Tovoli

D. Cosa le piace fotografare?

R. “Soy loco” per l’etnico e il geografico. Se c’è di mezzo una tradizione, un’usanza, un costume, una storia su un luogo, quello per me è il reportage da farsi; ho scelto di vivere in una parte di mondo (il Perù) in questo senso ricchissima.

D. Qual è il suo soggetto preferito?

R. La gente. Posso fotografare qualsiasi cosa, ma se c’è di mezzo l’uomo è un’altra storia.

D. E il genere?

R. Il reportage in senso lato. Negli anni mi sono anche appassionato al ritratto, però dentro al reportage. Normalmente “registro” quel che vedo, ogni tanto chiedo ad un soggetto di guardare in macchina, difficilmente lo metto in posa però.

D. Ci racconti il suo concetto di inquadratura:

R. Con pochi o molti elementi, schiacciata dal tele o amplificata dal grandangolo, ma comunque sempre con tutti gli elementi necessari e nient’altro. Sono rigorosissimo con me stesso, la mia foto deve far dire “wow” e questo lo si fa quando si riesce ad esprimere bene il concetto con una composizione ineccepibile.

D. Che tipo di luci preferisce?

R. Ovvio che la luce diretta al mattino fino alle dieci e mezzo e quella ugualmente diretta del pomeriggio che inizia due ore e mezzo prima del tramonto sono le preferite, ma anche l’ombra scoperta dove si riflette una quantità enorme di luce, perché magari c’è davanti un muro bianco dove batte il sole, oppure quel momento crepuscolare subito dopo il tramonto fintanto che c’è luce in cielo e s’è accesa tutta l’illuminazione pubblica, sono condizioni fantastiche.

D. Quale nuovo genere di fotografia vorrebbe esplorare?

R. Vorrei mettere più ritratto posato dentro ai reportages. Mi sono preso una 6×6 quasi apposta, mi piacerebbe fare di più anche con la Toy Camera. Ho una Holga, però il fatto di mettere a fuoco a stima mi inibisce, da un paio d’anni la Holga sta prendendo polvere.

D. Usa tecniche fotografiche speciali, come il macro?

R. Fare reportage significa saper fare un po’ di tutto. Devo ringraziare i miei anni di studio fotografico che mi hanno insegnato a lavorare coi tempi lenti e il cavalletto, fare il panning e varia altre cose, macro incluso. Però se devo parlare di una tecnica in particolare, è proprio quella legata all’uso del flash ogniqualvolta mi trovo con una luce che non mi piace. Non uso mail il flash diretto, lo mescolo sempre con la luce ambiente. E’ una tecnica che mi ha salvato in tante situazioni

D. Usa il bianco/nero con il digitale? Se sì, ci parli di questa tecnica e di come la interpreta.

R. L’ho usato poche volte. Ho messo un menù bianco/nero sulle mie fotocamere ed è l’unico caso in cui faccio RAW+jpg, dove quest’ultimo mi fa da riferimento per poi lavorare sul RAW in bianco e nero, quel che mi piace è che posso filtrare direttamente in macchina, non come si faceva prima coi filtri sull’obbiettivo. Poi comunque al computer si rifà quel che si faceva prima in camera oscura, col piccolo particolare che si può stare con la finestra aperta, una bibita in mano, si respira aria pulita, etc…

Federico Tovoli e il fotoritocco

D. La sua opinione sul fotoritocco:

R. Meno si usa e meglio è. Anche se è bello sapere che c’è, perché a volte serve. Diciamo che in un mio reportage su una selezione finale di sessanta foto, magari ce ne sono dieci sulle quali devo rivedere contrasti e tonalità e cinque che hanno bisogno di zio Photoshop per un lavoro più accurato.

D. Quali sono, secondo lei, i limiti etici al fotoritocco?

R. Dipende dal genere fotografico. In fotografia di reportage secondo me anche timbroclonare un cartaccia per terra è un sacrilegio, però se il reportage è a taglio turistico lo si fa.

D. E’ lecito intervenire per migliorare luci e toni di una foto?

R. Ovvio.

D. E per rimuovere elementi di disturbo?

R. Ovvio.

D. E aggiungere elementi, cieli oppure oggetti?

R. Nel momento in cui lo si fa, lo si deve fare in modo ottimale altrimenti si cade nel pacchiano. Secondo me non va fatto se non in fotografie pubblicitarie, di cerimonia o simili.

D. Che software usa per il fotoritocco?

R. Fratello Lightroom, che serve per tante cose ed anche per il fotoritocco, e zio Photoshop che, da bravo zio, ne sa una più del diavolo.

D. Che tipo di interventi fa di solito?

R. In Lightroom rivedo contrasti, esposizione e tonalità quando è necessario e a volte taglio. Photoshop lo uso per il lavoro di selezione o quando ci sono linee cadenti o distorsioni.

Federico Tovoli: RAW, JPG e TIF

D. In che formato scatta di solito?

R. RAW.

D. Se scatta in RAW, che software usa per aprirle i file?

R. LightRoom.

D. Cosa ne pensa?

R. Ci ha risolto un sacco di problemi e ci fa risparmiare un sacco di tempo.

Informazione

D. Legge riviste di fotografia? Se sì, quali?

R. Divoravo Zoom e Progresso Fotografico. Adesso che vivo qui, in edicola c’è una sola rivista spagnola di tecnica fotografica e non mi interessa.

D. Consulta siti web di fotografia?

R. Sì.

D. Ne consulta alcuni in maniera abituale, considerandoli un punto di riferimento?

R. Non li considero un punto di riferimento, ma un punto d’informazione.

D. Quali sono quelli che consulta e cosa le offrono?

R. Si tratta di magazines online che spesso fanno parte di siti, è un modo di aggiornarsi sulle nuove tendenze e sui nuovi talenti. Erica Mc Donald e la Ghizzoni le ho scoperte così, stiamo parlando di BurnMagazine, Foto8, Piel de Foto, Ruido Foto, RearviewMirror e il buon WJ, sul quale ho pubblicato varie volte.

D. Partecipa a workshop o seminari?

R. Mai fatto, son sempre stato decentrato. Qui a Lima un collettivo fotografico che si chiama NNfotografos organizza conferenze e quando posso ci vado, di solito è un incontro con un fotografo internazionale. Ho avuto modo di scoprire il trabajo di Kircuck, l’ultimo era con la Botero.

D. Cosa pensa dei workshop?

R. Ne ho fatti come insegnante, l’insegnamento fa parte della mia professione, mi piace trasmettere e vedere che alla gente piace apprendere.

D. Fa parte di un circolo fotografico?

R. No, ma sto iniziando ad insegnare in un fotoclub, per cui di fatto farò parte del fotoclub.

D. E di una associazione del settore?

R. No, solo dell’ordine dei giornalisti italiano e di quello peruviano.

D. Va a fiere e saloni di fotografia? Se sì, a quali?

R. Sono stato un paio di volte ai Photoshow.

D. Cosa ne pensa, li trova utili?

R. E’ un modo per tenersi aggiornati fra tecnica e cultura, più la prima però.

Mostre

D. Visita mostre di fotografia?

R. Tutte le volte che posso.

D. Quali sono quelle che ha apprezzato di più in assoluto?

R. Ansel Adams a Fiesole un quarto di secolo fa, Maria Lionza con los Ojos de Agua al Foto Españã del 2008, W.E. Smith allo stesso festival lo stesso anno, Steve Mc Curry a Milano nel 2009, un lavoro collettivo sulla inclusione sociale realizzato dai fotografi di “El Comercio”, uno dei più grossi quotidiani peruviani alla Bienal de fotografia di Lima, l’anno scorso.

D. Qual è stata l’ultima visitata?

R. Un lavoro fatto dalla fotografa Vera Lentz e dal fotografo Musuk Nolte (entrambi peruviani a dispetto dei nomi) sul popolo Ashanika, lo scorso autunno qui a Lima.

D. La mostra che vorrebbe vedere?

R. Un WorldPress con un po’ più di spazio alle storie di vita quotidiana ed un po’ meno alle guerre.

D. Ha realizzato sue mostre fotografiche? Se sì, dove e quando?

R. Da quando non avevo ancora lo studio, quasi 28 anni fa, fino allo scorso ottobre, da Livorno a Caraz, le mie foto sono state esposte parecchie volte. Sono stato fra i giovani fotografi ’92; ho esposto a Fotografia Europea 2010; sono stato in collettive e personali: Roma, Bologna, Torino, Milano, Firenze, Imperia, Barcellona.

Ho esposto più volte due reportages: quello sui luoghi della guerriglia del Che Guevara in Bolivia a 40 anni dai fatti ed un lavoro di ritrattistica e luoghi fatto sui campi confiscati alla mafia e gestiti da LiberaTerra.

D. Ci racconti la più emozionante tra queste esperienze:

R. Un applauso di vari minuti dopo un slideshow alla sede della Coop di Modena, un mio lavoro su un progetto di sostenibilità e sviluppo nell’Amazzonia ecuadoriana, l’avevo presentato con “Over the rainbow” cantato da una donna (Cassidy).

Le attrezzature di Federico Tovoli

D. Attualmente, quali fotocamere usa?

R. Nikonista da sempre, adesso ho una D700 ed una D300s, c’è anche una stravecchia D100 di riserva.

D. E quali obiettivi?

R. 17-35 Nikkor f 2.8, il cinquantino 1.8 e il mitico 80-200 f 2,8

D. L’obiettivo che usa più spesso?

R. Il primo.

D. Quali flash?

R. Ho un SB900 in riparazione in Europa, ho anche un YongNuo, comprato per sostituire il primo che diventerà la seconda luce, appena mi riavrò l’SB900.

D. Quali cavalletti e teste?

R. Ho un indistruttibile Gitzo preso nel ’95, una testa a tre mosse piatta presa nel ’97 e da poco una testa video Manfrotto, ma sotto questo aspetto sono alle prime armi.

D. Quali altri attrezzature o accessori usa?

R. Fotografici puri per il reportage, null’altro. Visto che adesso siamo multimediali, ho un ZoomH4n col quale registro interviste e paesaggi sonori e, poiché la mia D300s realizza anche video, ogni tanto faccio qualche intervista, ma devo ancora studiare bene un programma serio di post-prod.

D. Utilizza filtri? Se sì, quali?

R. Il polarizzatore è l’unico oltre gli Skylight…che però in giungla vanno tolti perché fanno condensa.

D. Qual è stata la sua prima macchina?

R. Me la regalarono per la prima comunione, una Meikai. Quando nel 2007 rividi quel modello nel bar museo della fotografia di Alejandro Simik a Buenos Aires, mi sentii anch’io nel museo; però ho cominciato a scattare con più frequenza con la Kodak Retina che mi passò il mio babbo quando frequentavo le scuole medie.

D. Come si è evoluta nel tempo la sua attrezzatura?

R. Passai a Nikon nell’86, quando ero già professionista. All’epoca il lavoro serio era tutto banco ottico e mezzoformato, per cui la Nikon era una entry level (FG20) con due zoom universali ed un flash economico, poi è arrivato il Metz 45 CT1. Quando mi resi conto che era possibile fare fotoreportage, le Nikon divennero FE ed FM2 e dal 20 al 300 negli anni mi sono comprato tutte le focali fisse (mai avuto un ’85). Quando mi resi conto che la vista non mi agguantava più benissimo, sono passato alle autofocus (F90, F90x, F50, F80) e poi agli zoom autofocus ai quali ho aggiunto le digitali, sempre a coppia per non stare a fare troppi cambi, D100, D300 e adesso le due che ho già menzionato.

D. Ha mai fatto un cambio integrale di marca?

R. Mai, per pigrizia e soldi.

D. Dove acquista di solito le attrezzature? Fa spese online?

R. Finché abitavo in Europa avevo almeno due rivenditori di fiducia, qui qualunque cosa sia professionale la devi acquistare online e fartela portare da qualcuno che rientra dagli USA.

Federico Tovoli e la nostalgia della pellicola

D. Lavora ancora in pellicola?

R. L’ho fatto, ma la filiera produttiva per la post produzione è un disastro.

D. Con quali corpi macchina?

R. Ho usato la Mamiya C330, la Holga ed anche la F80.

D. Quali pellicole usa?

R. Sono sempre stato legato al Fujichrome, oggi come oggi però devi accontentarti di quel che trovi, mi riferisco al fatto che non si può più sottilizzare fra Velvia e Provia, è già tanto se si trovano.

D. Per quali applicazione?

R. Ritrattistica in formato quadrato, effetto Toy Camera e nel caso del 35 l’ho fatto durante un lavoro sul termalismo, quando ho fotografato dall’acqua, esclusivamente perché da anni avevo una borsa stagna per la F80.

D. Se usa diapositive, dove le sviluppa?

R. Un incubo…in Toscana nessuno sviluppa più, il mio laboratorio di fiducia le manda in Romagna e ritornano in una settimana. L’ultima volta (venivo giù dalla Slovenia) le lasciai ad un laboratorio a Bologna che me le rispedì in contrassegno. Non oso immaginare come funzioni qui in Perù.

PRO – Federico Tovoli in studio

D. Come è fatto il suo studio fotografico?

R. Un paio di Macintosh, libri, fascicoli e da una parte lo zaino con l’attrezzatura, il cavalletto e due flashes ombrellini e banks da studio ben riposti nelle loro custodie.

D. Dove si trova?

R. In una stanza di casa mia.

D. Quali sono le attrezzature specifiche da studio?

R. Due Bowens da 500ws, due ombrellini a due colori, due banks di due misure diverse.

D. Che genere di fotografia vi realizza?

R. Se capita uno still life, un catalogo o anche della ritrattistica un po’ meno reportage, perché credo che un fotografo debba saper fare un po’ di cose diverse.

Info

  • Nome: Federico
  • Cognome: Tovoli
  • Indirizzo: avenida Miguel Grau 965 Barranco
  • Città: Lima
  • Telefoni: +51973173144
  • Email: utovoli@federicotovoli.com
  • Sito web:www.federicotovoli.com
  • Skype : utovoli
  • Twitter : @FedericoTovoli
  • Facebook : Federico Tovoli Photojournalist

Commento alle foto allegate

https://www.dropbox.com/s/36a1lcx1tj0wx50/1500Y_120_008.jpg

Un sacerdote andino in una comunidad campesina nei pressi di Quehue, dipartimento di Cusco. Sta scuotendo le impurità da un tipo speciale di paglia appena tagliata, si usa per fare dei cordami per ricostruire il ponte sospeso di Q’eswachaka secondo una tecnica incaica.


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